L’intelligenza artificiale potrebbe giocare un ruolo cruciale per supportare la salute mentale di tutti noi, soprattutto alla luce del periodo storico particolarmente duro che stiamo vivendo.
“Ciao, come ti senti oggi?”. “Cosa ne pensi dei risultati delle elezioni?”. “Hai voglia di uscire?”. Domande come queste ci vengono rivolte di solito da un amico o un parente. Sono quel genere di scambi che avvengono tra persone che hanno confidenza, in momenti di calma, che siano dal vivo, al telefono o – sempre più spesso – via chat. Sono domande che ci fanno sentire considerati perché mostrano l’interesse di una persona nei nostri confronti.
In futuro queste domande potrebbero esserci fatte da un chatbot. Non per sostituire le interazioni umane, ma per aiutarci a monitorare il nostro umore e il livello di stress, ed evitare così un breakdown mentale. L’idea ci è venuta durante il confinamento vissuto gli scorsi mesi: solo in Italia, secondo un questionario a cui hanno risposto 18mila persone (condotto dall’Università dell’Aquila e Territori aperti, in collaborazione con l’Università di Roma Tor Vergata), il 37% degli intervistati ha presentato sintomi da stress post traumatico, il 21% stress generale, il 20% ansia severa, il 17% sintomi depressivi, il 7% insonnia. E in vista di una stretta sulle regole anti-Covid, è del tutto naturale preoccuparsi per la nostra salute mentale.
È per questo che abbiamo avviato uno studio su come l’intelligenza artificiale possa aiutare in questo campo. E la soluzione potrebbe essere molto semplice: un chatbot per smartphone che chatta con noi indagando il nostro stato d’animo.
Intelligenza artificiale: amico immaginario o supporto medico?
Per capire come stiamo, l’AI dovrebbe interagire con noi come un amico, facendoci domande non solo sul nostro umore, ma anche sul mondo, toccando argomenti di attualità o specifici di nostro interesse. Certo, la programmazione dovrebbe essere molto accurata e il suo utilizzo controllato, proprio per evitare di trovarsi di fronte a consigli inopportuni. È di queste settimane la notizia che Replika, l’app di intelligenza artificiale nata per tenere compagnia a chi si sente solo, avrebbe istigato il suo utilizzatore ad uccidere delle persone. Non sappiamo come sia andata la vicenda nel dettaglio, ma ci fa pensare che sia quanto mai necessario, oggi, un approccio estremamente attento alla programmazione delle AI.
Anche perché non si può negare che strumenti come questi abbiano un potenziale immenso in termini di raccolta dati e informazioni, e se gestiti nel modo corretto e incanalati in circoli virtuosi possano acquisire una valenza sociale. Tenendo traccia delle proprie emozioni quotidianamente (come una sorta di “diario 2.0”) una persona potrebbe accorgersi che è sempre triste o di cattivo umore, potrebbe decidere di chiedere un aiuto a un terapista o anche solo a un amico. Ma, con il consenso dell’utente e attraverso sistemi che garantiscano il rispetto della privacy, questo strumento potrebbe essere utilizzato anche per supportare una terapia medica, andando ad affiancarsi alle sedute di psicoterapia, o integrandosi con sistemi medico-digitali. Questo perché l’intelligenza artificiale è in grado di interpretare anche il sentiment dietro alle parole che usiamo: il sistema sviluppato analizzerebbe non solo quello che diciamo, ma anche come lo diciamo, mappando entrambi i dati e potendo, così, dare feedback e inviare segnali in caso venisse rilevato un elevato livello di stress.
L’AI per le persone, non viceversa
Per chi è timido, un chatbot di questo tipo potrebbe essere uno strumento di allenamento per parlare con gli altri: per molti è difficile esporsi e dire cosa si pensa davvero ad altre persone di cui si teme il giudizio, e il fatto di farlo in un luogo protetto potrebbe aiutare ad aprirsi. Infine, potrebbe essere d’aiuto per le nuove generazioni che trascorrono così tante ore incollati agli schermi dei loro smartphone da “dimenticarsi” di parlare: per i giovani parlare con un chatbot potrebbe risultare molto più semplice che non con i loro amici.
Siamo di fronte a un’applicazione dell’intelligenza artificiale a vantaggio delle persone: secondo noi, l’unica possibile in futuro. Per competere nell’era dell’intelligenza artificiale non si può essere guidati dalla tecnologia in sé, ma è necessario pensare a sistemi, strutture, piattaforme e strumenti che utilizzino la tecnologia per essere davvero di supporto alle persone.
A cura di Roberto Oscurato, UX e UI Designer di Indigo.ai