“La stampa in 3D per prima cosa offre la possibilità di adattamento al singolo paziente, con la possibilità di realizzare strumenti o parti anatomiche sostitutive disegnate sulle specifiche fisiche del singolo paziente. Questa è una caratteristica estremamente importante nell’ottica della medicina personalizzata e di precisione”. A parlare è Stefano Bergamasco, direttore del Centro Studi dell’Associazione italiana Ingegneri clinici (AIIC), che, nel corso di un’intervista rilasciata all’agenzia Dire, spiega quali sono i benefici concreti apportati dalla tecnologia 3D nella sanita’ di tutti i giorni.
“C’è poi la possibilità di produrre dispositivi direttamente all’interno dell’ospedale: ci sono già alcune esperienza in Italia di centri stampa 3D implementati direttamente all’interno dell’ospedale – prosegue Bergamasco – e questo crea un cortocircuito virtuoso tra la diagnostica per immagini, il reparto operatorio e la produzione del pezzo”.
La ‘vicinanza’ taglia quindi “senz’altro i tempi e rende il dialogo con il personale sanitario immediato – sottolinea Bergamasco – questo è un vantaggio estremamente grande rispetto ad altre ottiche di produzione che non è possibile realizzare all’interno dell’ospedale. Da ultimo, c’è la possibilità di realizzare prodotti che con altre metodiche tecniche non è possibile realizzare per precisione del pezzo. La stampa 3D, insomma, offre nuove possibilità che con altre tecnologie sarebbe troppo costoso o semplicemente impossibile andare a realizzare. Ci sono davvero una serie di vantaggi concreti che spostano la stampa 3D da quella che può essere una frontiera di ricerca futuribile ad una realtà attuale e implementabile all’interno dei nostri ospedali”.
Tanti anni fa si è cominciato a sentire parlare della stampa in 3D e ormai in molti settori è diventata una realtà. Ma che ruolo ha oggi nella sanità attuale? Quali sono le sue applicazioni?
“È un tema davvero interessante e anche per questo, nel lanciare le attività del nostro Centro studi, abbiamo ritenuto necessario scrivere la Linea guida sulle tecnologie di Additive Manufacturing – risponde Bergamasco alla Dire – trattando l’argomento da più punti di vista, ma dedicando un capitolo proprio alle applicazioni della stampa 3D in sanità, classificandole in cinque tipologie”.
Innanzitutto, spiega l’esperto, ci sono “i modelli anatomici didattici, quindi la creazione di modelli di parti del corpo umano a fini di insegnamento, con una metodica più efficace rispetto ad altri metodi tradizionali; ci sono poi dei modelli, sempre anatomici, ma finalizzati alla preparazione dell’intervento chirurgico, quindi un vero e proprio dispositivo medico che serve a predisporre, sulla fisiologia e sull’anatomia di uno specifico paziente, le caratteristiche propedeutiche a ottimizzare l’intervento da parte del chirurgo; ci sono poi le guide chirurgiche, cioè dei prodotti stampati in 3D che servono per indirizzare meglio e in modo più preciso l’inserimento dello strumentale chirurgico durante l’intervento; e poi ancora, quarta di tipologia, i dispositivi medici indossabili o impiantabili su misura, una medicina quindi sempre più personalizzata; infine c’è la possibilità di realizzare dispositivi medici prodotti in serie, ma in cui la stampa 3D, per modalità tecnologica, da’ dei vantaggi rispetto ad altre metodiche produttive”.
Un tema sottolineato dagli esperti nella Linea guida è quindi che “indipendentemente dalle varie caratteristiche, se il prodotto realizzato in stampa 3D si qualifica come dispositivo medico deve rispondere alle normative previste per i dispositivi medici realizzati anche in tecnologie tradizionale – sottolinea ancora Bergamasco – perché questo da’ garanzie di sicurezza ed efficacia anche al paziente”.
Gli ospedali italiani, però, sono pronti a questo tipo di innovazioni?
“Assolutamente sì – risponde Bergamasco alla Dire – Noi abbiamo pubblicato questa Linea guida anche perché molte strutture ce lo stavano chiedendo già da tempo, così come da tempo ne stavamo parlando anche durante i nostri convegni. Il riscontro che abbiamo avuto da molti colleghi che operano all’interno degli ospedali di tutto il territorio nazionale è stato di un grande interesse per questo argomento. Quindi l’interesse c’è, la preparazione professionale anche e ora, grazie alla pubblicazione della Linea guida, possiamo dare anche degli strumenti operativi e delle indicazioni sulle procedure, sulle normative e sull’inquadramento legislativo, necessarie per implementare concretamente tale linea guida”.
Interpellato infine su chi è e cosa fa l’ingegnere clinico, Bergamasco così risponde: “L’ingegnere clinico è un professionista che si occupa della gestione delle tecnologie biomediche all’interno delle strutture sanitarie, quindi del ciclo di vita delle apparecchiature elettromedicali e di altri dispositivi medici: dalla fase di pianificazione e acquisto all’installazione e collaudo, dalla formazione del personale alla manutenzione periodica, fino alla dismissione di tale tecnologie. In molti ospedali italiani sono presenti uno o più ingegneri clinici, ma questo professionista può svolgere la sua attività anche dentro altri contesti, pensiamo per esempio alla sempre più frequente attività territoriale per l’assistenza domiciliare. Ma ci sono colleghi che lavorano a supporto degli ospedali attraverso società esterne. Il mondo tradizionale degli ingegneri clinici è legato alle apparecchiature elettromedicali, però sempre di più ci occupiamo di altri tipi di tecnologie e dispositivi medici- conclude- compreso tutto il mondo del software”.
Aiic: stampa 3d veloce, rispetta esigenze rapidità istituzioni
“La stampa 3D in sanità ha due grandi caratteristiche: la rapidità e l’adattabilità”. Ne è convinta Alice Ravizza, responsabile del progetto Linea Guida Additive Manufacturing in Sanità dell’Associazione italiana Ingegneri Clinici (AIIC), intervistata dall’agenzia Dire. “Soprattutto nella stampa di parti di ricambio la stampa 3D può sopportare laddove l’industria tradizionale non riesce a rispettare i tempi e le esigenze di rapidità delle istituzioni sanitarie; dall’altra parte, però, questa granularità nella produzione di parti di ricambio degli accessori deve essere anche controllata in maniera tale da garantire un livello di qualità minima costante in tutte le istituzioni sanitarie che decidono di costruirsi accessori e parti di ricambio”. Ma perché è così importante definire delle regole? “Per queste tecnologie così innovative è molto importante stabilire delle regole a cui le diverse istituzioni sanitarie possono affacciarsi in modo che ci sia un’uniformità di trattamento per tutti i pazienti sul territorio italiano”.
La stampa 3D, intanto, è una tecnologia che “quando messa a disposizione della sanità, consente un approccio basato sulla personalizzazione delle cure – prosegue Ravizza – Tipicamente i dispositivi medici che vengono costruiti con la stampa 3D sono infatti personalizzati per i pazienti, in termine tecnico si dice ‘custom made’. Tali dispositivi possono essere costruiti dalle aziende o dalle istituzioni sanitarie stesse. Abbiamo per esempio un brillante esempio in Italia presso il San Matteo di Pavia, che si è dotato di un laboratorio dove i medici possono prenotare i propri modelli stampati in 3D e, in collaborazione con il laboratorio degli ingegneri biomedici, pianificare degli interventi personalizzati per i propri pazienti”. Rapidità e personalizzazione, dunque, sono le chiavi del successo di questa tecnologia. “La stampa in 3D- conferma ancora Ravizza- offre la possibilità di avere il pezzo di ricambio o l’accessorio esattamente dove serve e quindi di sostituire tutte quelle attività di distribuzione e logistica che possono essere molto complicate in tempi di pandemia”.
Secondo un recente studio pubblicato dal think tank ‘STOA’ del Parlamento Europeo, intanto, la stampa 3D è una delle dieci tecnologie chiave per la lotta contro il Covid-19. Qual è il supporto di questa tecnologia per la pandemia?
“Per quanto riguarda la personalizzazione, specificatamente per il Covid-19, non si è sentita in particolare questa necessità – dice Ravizza – ma accade invece molto frequentemente in patologie più generali per la popolazione, come ad esempio nella pianificazione della chirurgia dei tumori o nell’approccio chirurgico per le ferite e le fratture complesse”. Secondo Ravizza, l’Italia è quindi pronta all’utilizzo di questa tecnologia: “In Italia ci sono esempi di eccellenza sia per quanto riguarda la sanità pubblica sia le aziende- spiega- così come nelle accademie e nelle pubblicazioni fatte da centri studi come il nostro. Siamo molto contenti del risultato che abbiamo ottenuto con questa prima Linea guida, che vogliamo presentare in una versione internazionale in collaborazione con l’Università di Pavia”.
In merito al futuro di questa importante tecnologia in ambito sanitario, Ravizza così risponde: “La mia opinione è che la medicina vada sempre più verso la personalizzazione e verso la possibilità, in qualche maniera, di tarare il percorso di cura per il singolo paziente. La stampa 3D consente un approccio sia alla diagnosi sia alla terapia molto vicino alla forma del corpo del paziente e questa possibilità di adattamento aiuta tanto sia nella pianificazione chirurgica sia nelle fasi post chirurgiche. I prossimi obiettivi, quindi, sono quelli di rendere questa tecnologia il più possibile diffusa sul territorio nazionale e di stabilire delle regole base di qualità, in maniera tale che tutti i pazienti italiani e poi europei possano avere un tipo di trattamento personalizzato ma con delle regole coerenti”.
L’ingegneria biomedica, infine, sembra interessare sempre più donne. “Sicuramente questa facoltà sta prendendo molto piede – conclude Ravizza – perché offre la possibilità, di grande interesse, di vedere la tecnologia abbinata alla medicina. Un altro aspetto interessante è la grande quantità di studentesse che si affacciano a questa materia, perché vediamo una buona percentuale di colleghe che iniziano a studiare ingegneria biomedica, laureandosi con grande successo e poi intraprendendo percorsi professionali che spesso portano veramente a grande soddisfazione. Anche nel nostro Centro studi abbiamo colleghe di giovane età ma di grande competenza con cui lavoriamo con grande piacere- conclude- perché danno un apporto e una visione molto fresca alle nostre attività”.